21.

«Ora che pendiamo dalle tue labbra», disse Pitt, «ti dispiacerebbe metterci a parte della grande rivelazione?»

Redfern scosse la testa come se volesse schiarirsi le idee. «È una storia... una vicenda incredibile. Non riesco a comprenderla.»

Lily chiese: «Le tavolette spiegano perché una nave greco-romana si era spinta tanto lontano dalle rotte abituali?»

«Non era greco-romana. Era bizantina», la corresse Redfern. «Quando la Serapis partì, la capitale dell'impero era stata trasferita da Costantino il Grande da Roma alle rive del Bosforo, dove un tempo stava la città greca di Bisanzio.»

«Che poi diventò Costantinopoli», disse Pitt.

«E successivamente Istanbul.» Redfern si rivolse a Lily. «Scusa se non ti ho dato una risposta diretta. Ma sì, le tavolette rivelano come e perché la nave venne qui. Per spiegare meglio la situazione, dobbiamo fare un quadro più ampio, a partire dal 323 avanti Cristo, l'anno in cui Alessandro il Grande morì a Babilonia. I suoi generali si divisero l'impero e uno di loro, Tolomeo, tenne per sé l'Egitto e ne divenne re. Tolomeo era un uomo abile e astuto. Riuscì a impadronirsi anche della salma di Alessandro e la fece chiudere in una bara d'oro e cristallo. Più tardi collocò il feretro in un elegante mausoleo e vi costruì intorno una città che superava Atene in magnificenza. In onore del suo re, Tolomeo la chiamò Alessandria.»

«E la Serapis che cosa c'entra?» chiese Lily.

«Abbi pazienza un momento», rispose Redfern in tono gioviale. «Tolomeo fondò un immenso museo-biblioteca. L'inventario era monumentale. I suoi discendenti fino a Cleopatra, e in seguito anche i successori, gli imperatori romani, continuarono ad acquistare manoscritti e oggetti d'arte fino a che il museo e soprattutto la biblioteca divennero uno dei massimi repertori d'arte, scienza e letteratura che siano mai esistiti. La collezione durò fino al 391 dopo Cristo. In quell'anno l'imperatore Teodosio e il patriarca di Alessandria, Teofilo, che era un maniaco religioso, decisero che tutto ciò che non si riferiva al cristianesimo era pagano. Così progettarono la distruzione del contenuto della biblioteca. Le statue, le opere d'arte favolose di marmo, bronzo, oro e avorio, quadri e tappezzerie incredibili, innumerevoli libri scritti su pergamene e papiri, persino la salma di Alessandro, tutto doveva essere ridotto in cenere o in polvere.»

«I libri erano davvero innumerevoli?» chiese Pitt.

«Erano centinaia di migliaia.»

Lily scosse mestamente la testa. «Una perdita terribile.»

«Rimasero solo gli scritti biblici ed ecclesiastici», continuò Redfern. «Poi la biblioteca e il museo furono rasi al suolo quando le orde islamiche arabe travolsero l'Egitto intorno al 646 dopo Cristo.»

«Gli antichi capolavori raccolti nel corso dei secoli andarono perduti per sempre», commentò Pitt.

«Sì», ammise Redfern. «O almeno gli storici l'hanno creduto fino a oggi. Ma se quello che ho appena finito di leggere è vero, il fior fiore della collezione non è sparito per sempre. Si trova nascosto in qualche posto.»

Lily lo guardò, confusa. «Esiste ancora oggi? Fu portato via di nascosto da Alessandria a bordo della Serapis

«Sì, secondo quanto è scritto sulle tavolette.»

Pitt fece una smorfia dubbiosa. «È impossibile che la Serapis abbia portato via più di una minima frazione del tesoro. Non ha senso. È troppo piccola. Poteva trasportare un carico inferiore alle quaranta tonnellate. L'equipaggio poteva aver stipato qualche migliaio di rotoli e un paio di statue nella stiva, ma non si trattava certo delle quantità di cui stai parlando.»

Redfern gli lanciò un'occhiata rispettosa. «È un'osservazione acuta. Hai una buona conoscenza delle navi antiche.»

«Torniamo alla Serapis e al fatto che finì in Groenlandia», insistette Pitt mentre Redfern prendeva i fogli trascritti da Lily e li metteva in ordine.

«Non starò a fare una traduzione letterale del latino del quarto secolo. È troppo formale. Cercherò di renderlo in una forma discorsiva. La prima annotazione si riferisce alle Idi di aprile del 107: l'anno, calcolato in base al calendario di Diocleziano, corrisponde al 391 dopo Cristo. Comincia così: 

Io, Cuccius Rufinus, capitano della Serapis al servizio di Nicia, mercante greco della città di Rodi, ho accettato di trasportare un carico per conto di Junius Venator di Alessandria. Mi è stato detto che il viaggio sarà lungo e arduo, e Venator non ha rivelato la destinazione. Mia figlia Hypatia è partita con me e sua madre sarà molto preoccupata per questa lunga separazione. Ma Venator paga venti volte più della tariffa consueta, una somma enorme che arrecherà un grande beneficio a Nicia, a me e all'equipaggio.
Il carico è stato portato a bordo di notte con una scorta armata, e inspiegabilmente mi è stato ordinato di restare sul molo con l'equipaggio durante le operazioni di carico. Quattro soldati al comando del centurione Domitius Severus sono rimasti sulla nave e sono partiti con noi. La situazione non mi piace, ma Venator mi ha pagato in anticipo e non posso rimangiarmi il contratto.»

«Un uomo onesto», commentò Pitt. «È difficile credere che non avesse scoperto la vera natura del carico.»

«Ne parla pù avanti. Le righe seguenti sono una cronaca del viaggio. Accenna anche al dio omonimo della nave. Taglierò corto per arrivare al primo scalo. 

Ringrazio il dio Serapide che ci ha permesso di arrivare in quattordici giorni, con il tempo propizio, a Nuova Cartagine, dove abbiamo riposato cinque giorni e abbiamo caricato provviste in quantità quattro volte superiore al normale. Qui siamo stati raggiunti dalle altre navi di Junius Venator. Quasi tutti possono trasportare carichi molto ingenti. In totale, con l'ammiraglia di Venator, sono sedici. La nostra Serapis è la più piccola della flotta.»

«Una flotta!» esclamò Lily. Le brillavano gli occhi. «Allora portarono in salvo la collezione!»

Redfern annuì sorridendo. «O almeno una buona parte. A quell'epoca i mercantili più grossi potevano portare dalle duecento alle trecento tonnellate. Calcoliamo che due navi trasportassero uomini e provviste e che le altre quattordici avessero un carico medio di duecento tonnellate: il totale doveva essere intorno alle duemilaottocento. Quanto bastava per mettere al sicuro un terzo dei volumi della biblioteca e una quantità ragguardevole dei tesori d'arte del museo.»

Pitt chiese una breve pausa. Andò al banco della cambusa e portò due tazze di caffè. Ne mise una davanti a Lily, poi tornò a prendere un piatto di ciambelle. Non sedette. In piedi riusciva a concentrarsi meglio.

«Finora il trasferimento della biblioteca è una teoria», disse. «Non ho sentito nulla a conferma del fatto che il materiale venisse veramente portato via.»

«Rufinus ne parla più avanti», disse Redfern. «La descrizione del carico della Serapis è quasi alla conclusione del diario.»

Pitt gli lanciò un'occhiata impaziente. Tornò a sedere e attese.

«Nella tavoletta seguente, Rufinus accenna a qualche riparazione e ai pettegolezzi del porto, e descrive con l'occhio del turista Nuova Cartagine, che oggi si chiama Cartagena. È in Spagna. Stranamente, non esprime più inquietudine per il viaggio che l'attende. Non annota neppure la data della partenza della flotta dal porto. Ma la parte più bizzarra riguarda la censura. Sentite l'annotazione successiva. 

Oggi siamo salpati verso il grande mare. Le navi più veloci rimorchiano le più lente. Non posso scrivere altro. I soldati mi sorvegliano. Per ordini precisi di Junius Venator non devono esserci documentazioni del viaggio.»

«Proprio quando stavamo per mettere insieme i pezzi del rompicapo», borbottò Pitt, «manca la parte centrale.»

«Dev'esserci qualcosa di più», insistette Lily. «Ricordo di aver copiato altro.»

«Infatti», ammise Redfern mentre girava le pagine. «Rufinus riprende il racconto undici mesi più tardi. 

Ora sono libero di parlare del nostro viaggio terribile senza timore di punizioni. Venator e il suo piccolo esercito di schiavi, Severus e i suoi legionari, gli equipaggi di tutte le navi sono stati sterminati dai barbari e la flotta è stata incendiata. La Serapis si è salvata perché la paura di Venator mi aveva reso prudente.
Ho scoperto la provenienza e il contenuto del carico e conosco dov'è nascosto fra le colline. Sono segreti che devono essere celati ai mortali. Sospettavo che Venator e Severus intendessero assassinare tutti quanti, tranne i soldati più fidi e l'equipaggio di una sola nave, per assicurarsi il ritorno in patria.
Temevo per la vita di mia figlia; perciò ho armato i miei uomini e ho ordinato loro di restare vicino alla nave, in modo da poter salpare al primo segno di tradimento. Ma i barbari hanno attaccato per primi, e hanno massacrato gli schiavi di Venator e la legione di Severus. Le nostre guardie sono morte nella battaglia, e noi abbiamo tagliato gli ormeggi e allontanato la nave dalla riva. Venator ha cercato di salvarsi buttandosi in acqua e ha gridato per invocare aiuto. Non potevo rischiare la vita di Hypatia e dei miei uomini per salvarlo, e mi sono rifiutato di tornare indietro. Sarebbe stato un suicidio compiere una manovra del genere controcorrente.»

Redfern fece una pausa nella traduzione prima di continuare. «A questo punto Rufinus fa una specie di salto indietro e parla della partenza della flotta da Cartagena. 

Il viaggio dalla Spagna alla nostra destinazione nella terra sconosciuta ha richiesto cinquantotto giorni. Il tempo è stato favorevole, con il vento alle spalle. In cambio di questa fortuna, Serapide ha preteso un sacrificio. Due uomini del nostro equipaggio sono morti di un'infermità a noi sconosciuta.»

«Deve riferirsi allo scorbuto», disse Lily.

«I marinai antichi navigavano raramente per più di una settimana o due senza toccare terra», precisò Pitt. «Lo scorbuto divenne comune solo durante i lunghi viaggi degli spagnoli. Comunque, potrebbero esser morti per qualche altra ragione.»

Lily fece un cenno a Redfern. «Scusa se ti ho interrotto. Continua, ti prego.»

Siamo sbarcati dapprima in una grande isola popolata da barbari che somigliavano agli sciti ma avevano la carnagione più scura. Si sono comportati amichevolmente e hanno aiutato la flotta a rinnovare le provviste di viveri e di acqua dolce.
Abbiamo avvistato altre isole, ma l'ammiraglia ha proseguito. Solo Venator sapeva dove avremmo dovuto prendere terra. Finalmente abbiamo avvistato una spiaggia brulla e siamo giunti all'ampia foce di un fiume. Siamo rimasti al largo per cinque giorni e cinque notti fino a che i venti hanno incominciato a soffiare in nostro favore. Poi abbiamo risalito il fiume, remando a tratti, fino a quando abbiamo raggiunto i colli di Roma.

«I colli di Roma?» ripeté distrattamente Lily. «Non capisco.»

«Probabilmente lo intendeva come un paragone», interloquì Pitt.

«È un enigma che non sarà facile risolvere», ammise Redfern.

Agli ordini dell'intendente Latinus Macer gli schiavi hanno scavato nelle colline sopra il fiume. Otto mesi più tardi il carico è stato trasportato dalle navi al nascondiglio.

«Rufinus descrive questo nascondiglio?» chiese Pitt.

Redfern prese una tavoletta e la confrontò con la copia eseguita da Lily. «Le parole sono in parte indecifrabili. Dovrò integrarle come posso. 

Così il segreto dei segreti giace nelle viscere della collina entro una camera scavata dagli schiavi. Il luogo non può essere visto a causa dei dirupi. Dopo che tutto è stato riposto, l'orda dei barbari è discesa dalle colline. Non so se la camera fosse già stata sigillata perché in quel momento stavo aiutando il mio equipaggio a spingere la nave lontano dalla sabbia.»

«Rufinus non ha mai annotato le distanze», commentò Pitt, deluso. «E non fornisce mai indicazioni. Adesso c'è anche la possibilità che i barbari, quali che fossero, avessero saccheggiato il nascondiglio.»

Redfern si oscurò. «È una possibilità che non possiamo trascurare.»

«Io non credo che sia accaduto il peggio», disse ottimisticamente Lily.

«Cinquantotto giorni alla velocità media di... facciamo tre nodi e mezzo per un vascello progettato come la Serapis... Ecco, potrebbe aver coperto quattromila miglia marine.»

«Sì, se hanno navigato in linea retta», osservò Redfern. «E non è probabile. Rufinus dice solo che avevano viaggiato per cinquantotto giorni prima di scendere a terra. Dato che navigavano in acque sconosciute, si può presumere che si tenessero vicini alla costa.»

«E dove andavano?» chiese Lily.

«La destinazione più logica è la costa meridionale dell'Africa occidentale», rispose Redfern. «Nel quinto secolo avanti Cristo un equipaggio di fenici circumnavigò l'Africa in senso orario. Una parte di quelle coste figurava sulle carte dei tempi di Rufinus. Secondo la logica, Venator dovrebbe aver puntato verso sud con la flotta, dopo aver varcato lo stretto di Gibilterra.»

«Non riusciresti mai a convincere una giuria», disse Pitt. «Rufinus parla di isole.»

«Potrebbe trattarsi di Madera, delle Canarie o delle isole del Capo Verde.»

«Non è convincente neppure questo. Non riesci a spiegare come mai la Serapis sia finita praticamente dall'altra parte del mondo, in Groenlandia. Stai parlando di una distanza di quasi tredicimila chilometri.»

«È vero. Mi sono confuso con i calcoli.»

«Per me avevano seguito una rotta settentrionale», disse Lily. «Le isole potrebbero anche essere le Shetland o le Färøer. Quindi la località degli scavi dovrebbe essere sulle coste della Norvegia o meglio ancora dell'Islanda.»

«Così va meglio», ammise Pitt. «Questa teoria spiegherebbe perché la Serapis andò ad arenarsi in Groenlandia.»

«Che cosa dice Rufinus, dopo essersi salvato dai barbari?» chiese Lily.

Redfern s'interruppe per finire la cioccolata calda. «Ecco che cosa racconta: 

Abbiamo raggiunto il mare aperto. La navigazione era difficile. Le stelle hanno posizioni diverse. Anche il sole non è più lo stesso. Tempeste terribili ci assalgono dal sud. Un marinaio è finito in mare. Siamo stati sospinti di continuo verso il nord. Il trentunesimo giorno il nostro Dio ci ha guidati in una baia sicura dove abbiamo effettuato le riparazioni e caricato le provviste che siamo riusciti a trovare sulla terraferma. Abbiamo caricato anche pietre come zavorra. A una certa distanza dalla spiaggia c'è una grande distesa di pini nani. L'acqua pura filtra dalla sabbia appena vi si infila un bastone.
Dopo sei giorni di navigazione tranquilla è venuta un'altra tempesta più violenta della precedente. Le vele sono lacerate e inservibili. La tremenda bufera ha spezzato l'albero e trascinato via i remi timonieri. Siamo andati alla deriva spinti dal vento spietato, per molti giorni, non so per quanti. È diventato impossibile dormire. L'aria è freddissima, e sul ponte si è formato il ghiaccio. La nave è ora molto instabile. Ho ordinato ai miei uomini, esausti e infreddoliti, di gettare fuori bordo le anfore dell'acqua e del vino. «Le anfore che avete trovato sul fondale, fuori del fiordo.» Redfern s'interruppe e fece un cenno a Pitt. Poi continuò la lettura.

Poco dopo essere stati sospinti nella lunga baia, siamo riusciti a far arenare la nave e siamo piombati in un sonno profondo per due giorni e due notti.
Il dio Serapide è crudele. È incominciato l'inverno e il ghiaccio ha imprigionato la nave. Non ci resta altro che resistere durante l'inverno fino a che ritornerà il caldo. Dall'altra parte della baia c'è un villaggio di barbari, e commerciamo con loro. Facciamo baratti per procurarci il cibo. I barbari usano le nostre monete d'oro come gingilli perché non ne immaginano il valore. Ci hanno insegnato a scaldarci bruciando l'olio di un pesce mostruoso. Siamo sazi e credo che riusciremo a sopravvivere.
Mentre me ne sto tranquillo e ho molto tempo a disposizione, scriverò ogni giorno qualche parola. Questa volta annoterò le caratteristiche del carico che gli schiavi di Venator hanno prelevato dalla stiva della Serapis mentre io assistevo inosservato dalla cambusa e facevo una specie d'inventario. Alla vista del grande oggetto, tutti sono caduti rispettosamente in ginocchio.

«A che cosa allude?» chiese Lily.

«Un attimo di pazienza», disse Redfern.

Trecentoventi cilindri di rame con la dicitura Carte geologiche. Sessantatré arazzi. Tutti questi erano ammucchiati intorno alla grande bara di oro e cristallo di Alessandro. Mi tremavano le ginocchia. Riuscivo a scorgere il suo volto attraverso...

«Rufinus non scrisse altro», disse tristemente Redfern. «Non finì mai la frase. L'ultima tavoletta è un disegno che mostra la configurazione generale della costa e il corso del fiume.»

«La bara perduta di Alessandro il Grande», disse Lily con un filo di voce.

«È possibile che sia ancora sepolta in una caverna, chissà dove?»

«Assieme ai tesori della Biblioteca di Alessandria?» soggiunse Redfern. «Non possiamo far altro che sperare.»

La reazione di Pitt fu molto diversa, ispirata a una profonda sicurezza.

«La speranza va bene per gli spettatori. Credo di poter trovare le tue antichità entro trenta... no, entro venti giorni.»

Lily e Redfern sgranarono gli occhi e lo guardarono con l'aria sospettosa riservata di solito a un politico che promette di ridurre le tasse.

Molto semplicemente, non gli credevano.

Ma avrebbero fatto meglio a credergli.

«Mi sembri molto sicuro», disse Lily.

Gli occhi verdi di Pitt avevano una luce di assoluta sincerità. «Diamo un'occhiata alla mappa.»

Redfern gli porse il foglio su cui l'aveva trascritta Lily. Non c'era molto da vedere, a parte una serie di linee ondulate.

«Non dicono molto. Rufinus non ha fornito alcuna indicazione.»

«A me basta», disse Pitt, imperturbabile. «È sufficiente per condurci alla meta.»

Erano le quattro del mattino quando Pitt si svegliò. Si girò automaticamente per riaddormentarsi ma si rese conto vagamente che qualcuno aveva acceso la luce e gli stava parlando.

«Mi dispiace, amico, ma devi alzarti.»

Stordito, Pitt alzò lo sguardo verso la faccia seria del comandante Knight. «Che cos'è successo?»

«Ordini dall'alto. Devi partire immediatamente per Washington.»

«Hanno spiegato il motivo?»

«L'ha ordinato il Pentagono, ma non si è degnato di fornirmi spiegazioni.»

Pitt si sollevò a sedere e posò i piedi nudi sul pavimento. «Speravo di restare ancora un po' per seguire gli scavi.»

«Niente da fare, purtroppo», disse Knight. «Tu, Giordino e la dottoressa Sharp dovete partire entro un'ora.»

«Lily?»

Pitt si alzò e si avviò verso il bagno. «Posso capire che i pezzi grossi vogliano interrogare me e Al sul sottomarino sovietico, ma perché s'interessano a Lily?»

«I capi di stato maggiore non si confidano con gli schiavi.» Knight sorrise ironicamente. «Non ne ho la più pallida idea.»

«E il mezzo di trasporto?»

«Partirete com'è arrivato Redfern. In elicottero fino al villaggio eschimese e alla stazione meteorologica, poi con un aereo della Marina fino all'Islanda, e là salirete su un bombardiere B-52 che deve tornare negli Stati Uniti per la revisione.»

«Non è così che si fa», borbottò Pitt mentre si puliva i denti. «Se vogliono la mia collaborazione più totale, devono mettermi a disposizione un jet privato, o niente.»

«Sei molto impertinente per quest'ora del mattino.»

«Quando mi buttano giù dal letto prima dell'alba non esito a dire ai capi di stato maggiore che cosa dovrebbero mettersi fra le emorroidi.»

«Posso dire addio alla mia prossima promozione», gemette Knight. «Mi riterranno tuo complice.»

«Stai dalla mia parte e finirai per diventare ammiraglio.»

«Ci scommetto.»

Pitt si batté lo spazzolino sulla fronte. «Il genio ha colpito ancora. Trasmetti un messaggio. Comunica che gli andremo incontro a metà strada. Io e Giordino raggiungeremo con l'elicottero della NUMA la base aerea di Thule. E loro ci faranno trovare un jet del governo pronto per portarci alla capitale.»

«Ti converrebbe di più stuzzicare un doberman mentre sta mangiando.»

Pitt alzò le mani. «Perché non c'è nessuno che abbia fiducia nelle mie astuzie creative?»

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